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Il transito di Mercurio nella storia

by Cristina Villanova

Questo mese viene dedicato al Transito di Mercurio spiegato attraverso le parole di Paolo Colona.

Tra pochi giorni assisteremo ad un nuovo emozionante passaggio di Mercurio davanti al Sole; vediamo l’importanza che un fenomeno del genere ha avuto per la storia e l’evoluzione dell’astronomia grazie al resoconto di John Hill del 1754.

L’osservazione dei transiti planetari davanti al Sole è sempre stata di fondamentale importanza per l’astronomia del passato, almeno a contare dall’invenzione del telescopio e dall’introduzione del sistema eliocentrico matematico di Keplero. Gli astronomi sapevano bene infatti che, al di là della suggestione del fenomeno, una attenta analisi avrebbe portato a potenti perfezionamenti della teoria planetaria, dalla determinazione dei parametri orbitali fino alla importantissima misura dell’Unità Astronomica (le dimensioni dell’orbita terrestre).
Per questo motivo la storia delle prime osservazioni dei transiti è avvincente e pionieristica.
Va compreso pure che tale attenzione si destò a partire dal Seicento perché era appena nata la teoria moderna del Sistema Solare, con le leggi di Keplero: una teoria che andava innanzitutto “provata” e che poi si poteva affinare proprio tramite l’osservazione attenta di questi peculiari fenomeni. Senza citare naturalmente il fatto che prima di allora l’osservazione sarebbe stata impossibile o molto difficile, dato che il telescopio non era stato ancora inventato! Il primo transito mai osservato, il 7 novembre del 1631, era stato predetto da Keplero pochi anni prima con precisione: un successo per l’astronomia. Tuttavia, proprio perchè era il primo mai visto, l’astronomo Gassendi, che pure aveva preparato accuratamente l’osservazione e sapeva cosa aspettarsi, appena vide finalmente il Sole spuntare tra le nuvole non riconobbe affatto Mercurio perchè gli pareva troppo piccolo. È ben diversa infatti l’impressione che l’occhio ha quando vede un pianeta luminoso nel cielo buio o il suo disco nero in controluce sullo sfondo del Sole. Pierre Gassendi pensò quindi che quel puntino così minuscolo fosse semplicemente una nuova macchia solare. Da buon astronomo si accorse che si trattava del pianeta quando lo vide spostarsi rapidamente sul disco del Sole: da quel momento registrò accuratamente i tempi del transito consapevole di star compiendo un’osservazione storica.

Lasciamo alle parole di John Hill, storico dell’astronomia, il resoconto delle più antiche osservazioni del transito di Mercurio successive a quella di Gassendi, che contribuirono a perfezionare la conoscenza dei suoi dati orbitali (i quali però, come si sa, erano ancora imperfetti fino al Novecento a causa di un effetto relativistico sulla precessione della linea degli absidi):

«La seconda volta che fu visto il passaggio di Mercurio sul Sole avvenne il ventiquattro ottobre nel 1651; fu osservato a Surat quaranta minuti dopo le sei di mattina da Skakerly e deve essere stato visibile a Londra diciotto minuti dopo l’una del pomeriggio. Il terzo transito di Mercurio fu quello osservato da Hevelius il 3 maggio 1661 a Danzica; egli vide il pianeta sul disco del sole quattro minuti dopo le tre del pomeriggio e l’ha osservato fino a trentuno minuti dopo le sette. Questo transito è stato pianificato in modo estremamente accurato e vi hanno fatto riferimento tutti gli astronomi seguenti nelle loro teorie del pianeta. Il quarto transito di Mercurio è stato il 7 novembre 1677; Halley l’osservò dall’isola di Sant’Elena e Gallet ad Avignone. Il dieci novembre 1690 Mercurio passò davanti al Sole per la quinta volta da quando le osservazioni astronomiche avevano raggiunto questa perfezione. Fu osservato a Canton dai gesuiti e a Norimberga da Wurtzelbourg. Nel 1697 fu osservato a Parigi un sesto passaggio di Mercurio: da questo momento non abbiamo più notizia di transiti fino a quello dell’anno 1723, il nove novembre, che fu osservato in gran parte d’Europa. L’11 novembre 1736 c’è stato un altro transito di questo pianeta sul disco del sole osservato anche in molte parti d’Europa; è dal risultato di queste osservazioni, confrontate insieme, che dobbiamo l’attuale teoria di questo pianeta che comunque deve riconoscere di essere più imperfetto di quello di qualcun altro e uno dei desiderati in astronomia.»”

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