Questo mese viene dedicato ad un’opera di grande importanza nell’ambito dell’archeoastronomia e che riveste un interesse storico, artistico e scientifico. È stata studiata da Paolo Colona. Presentiamo qui un estratto del suo lavoro.
La splendida volta della Sala del Mappamondo di Palazzo Farnese a Caprarola non è una semplice passerella dei personaggi mitologici. Alzando lo sguardo al soffitto della sala, si incontra un cielo blu punteggiato di stelle e popolato da innumerevoli figure: le costellazioni. L’affresco risale ai primi anni 70 del XVI secolo e riproduce tutta la volta celeste insieme con 50 costellazioni. Il cielo di Caprarola è centrato sul solstizio invernale. Questa scelta permette di visualizzare comodamente entrambi gli equinozi (che sono punti di grande interesse astronomico) mentre risulta a sfavore del meridiano passante sul solstizio estivo, il quale è però rappresentato due volte (si vedano i piedi dei Gemelli che, attraversando tale meridiano, compaiono ad entrambi gli estremi dell’affresco). Va notato che, come accadeva spesso, vengono scambiati i punti cardinali Est-Ovest come se osservassimo il cielo dall’esterno (ad esempio su un mappamondo girevole).
48 delle 50 costellazioni riportate nella volta celeste appartengono al catalogo dell’astronomo alessandrino Claudio Tolomeo, il celebre autore dell’Almagesto, vissuto nel II secolo d.C. Tutte le 48 costellazioni del suo catalogo esistono attualmente nei nostri cieli, confermate dal congresso dell’Unione Astronomica Internazionale del 1922. Una costellazione aggiunta nel cielo di Caprarola è Antinoo, il bellissimo compagno dell’imperatore Adriano, che, morto tragicamente, fu deificato e oggetto di cospicui onori decretati dall’imperatore. Questa costellazione rimase in voga fino a quando fu rigettata, insieme a molte altre, durante il citato congresso dell’Unione Astronomica Internazionale. Una costellazione dell’affresco non manca di mistero. Si tratta dei Cani da Caccia (numero 13 nella figura). L’enigma sta nel fatto che tale asterismo non è riportato nella maggior parte delle altre opere coeve 48 e la sua introduzione si fa risalire usualmente al 1687 (più di un secolo dopo l’affresco di Caprarola!), quando l’astronomo polacco Johannes Hevelius la creò con stelle che precedentemente appartenevano all’Orsa Maggiore. La soluzione sta nel fatto che il lavoro di Hevelius fu quello di associare delle stelle ben precise ad una presenza celeste (i Cani) che si era andata delineando fin dal MedioEvo e che l’astronomo tedesco Pietro Apiano, nel 1533, aveva già accostato al Pastore (numero 39 nella figura) pur senza tentare di associarvi alcuna stella.
Un modello del cielo di Caprarola può essere la seconda carta di Apiano, del 1536, in cui il guinzaglio dei cani è passato alla mano sinistra del Pastore, ma nella quale manca Antinoo. È notevole come, mancando ancora il lavoro di Hevelius, nell’affresco di Caprarola non sia presente alcuna stella sul corpo dei Cani: questo dettaglio è indicativo del fatto che le stelle dorate visibili nell’opera non siano state distribuite casualmente a scopo decorativo, ma attenendosi alle precise indicazioni di un catalogo astronomico.