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La sorella della sposa

by Lucia Fusco

1962, gennaio – Via Leprignano si trovava a Tor di Quinto su una collinetta, un quartiere di piccola immigrazione, una strada di casette di materiali da recupero, con i pavimenti di cemento, vasche di gesso per lavare i panni stesi sui fili di plastica, geranei intisichiti dentro alle buatte di latta di pomodoro. Dall’altro lato della strada un dirupo di pini dava l’impressione di trovarsi in un bosco e non nella Capitale. Ci abitavano diverse famiglie povere ma desiderose di cambiare la vita, gente che lavorava nelle fabbriche, ai mercati generali, un bidello, un calzolaio, qualche impiegato. Si salutavano come in un paese. I bambini giocavano per la via, a campana, a zoppì, a lippa.

Tonino e Pierina si erano sposati a settembre, a Santa Maria, a Sezze, il paese di origine di lui, che aveva lasciato a soli sei mesi, e dove lei i aveva vissuto i suoi vent’anni, fino a quel giorno. Il padre della sposa aveva affittato un paio di pullman e condotto un centinaio di persone fino a Porta Romana dalla Crocetta. I due si conoscevano e si amavano fin da bambini. Lui per cinque anni di fidanzamento aveva viaggiato con la sua moto MV125 lungo venti stagioni di gioventù, neve, acqua, vento, sole. Quel giorno mise sotto braccio la sua sposina e iniziò il corteo. Lungo la via Corradini le comari li aspettavano con i piatti pieni di petali di rosa, di confetti, di riso. Al loro passaggio li gettavano sugli sposi, Tonino si dette una manata sulla fronte chè lo aveva colto un confetto! I ragazzini raccoglievano confetti e caramelle. Intanto benedizioni e scherzi delle comari si sprecavano: “Auguri agli spòsi”, “Nì, che è bella essa!”

“Chi beglio vestito, è tutto de pizzo!” “La madre s’è sbaliciata pe facce sti pagni!” “Pierì, bellafè, tra ‘na cica facimo i battezzo!” “Nnesè! E’ bella iessa, ma è bello isso!! “I romano” te’ du occhi blu ca fanno zilla i coro” “Cumma, che te sì nnamorata? ‘N ci potevi pinsà prima?” “Fatte i casi tei, commà, ca campi cent’agni!” “Auguri begli fringuellini, che sgirlettini! Cetto che sete begli!” ”Figli maschi!” “E pure ca femmena, cummà!”

E così lazzi e frizzi continuarono fino dentro il ristorante da Gianna dove i tavoli erano disposti a quadrato per vedersi, brindare, ridere, stornellare a dispetto. Vino a fiumi, manco a dirlo.

Alla fine del pomeriggio arrivò per la sposa il momento del distacco dalla mamma che piangeva come una fontana tra lo sgomento dei familiari: “Fuiglia ti so’ fatto tutto! Te ne uai accome a na reggina! Te so’ fatto ori, lenzola, coperte, piacchi, tuvaglie, uestiti, robbe! Io e patto te uoleuamo dà de più, perché te lo miriti, ma avemo fatto di tutto, de più non potemo. Dio te benedica, figlia bona mea! Figlia d’oro, figlia mea, figlia…” E intanto piangeva come se Pierina avesse dovuto raggiungere la Luna invece che Roma, pure la sposina aveva le lacrime agli occhi e non riusciva a staccarsi dalla madre, piena di dispiacere. Gli invitati tristi, le zie si asciugavano gli occhi. Per fortuna la sorellina Silvia, quattordicenne, si attaccò al collo della madre: “Mà, agguardame. Non piagne ca dapò piagneno pure gl’occhi di Pierina ca deuono uedè Firenze, Milano, Venezzia. Viva gli spòsi! Ma’ nun piagne ca a ti ci penso iuo. I nun te lasso. Pierì nun piagne pure tu, ca dapò te uenimo a truà cu la coriera, tu ci uì ‘ncontro a San Giuvagni… Ma’, io so’ ffelice perché Pierina ha trovato l’amore seo e tutta la famiglia è nostra! Toni’, te voglio bene accome a na sore, tratteme bene Pierina nòstra, nun la fa piagne mmai.” La festa finì tra baci e abbracci. La famiglia si era allargata, i suoi erano diventati i tuoi e viceversa grazie alle parole di una ragazzina.

Dopo il viaggio di nozze in Seicento Tonino e Pierina iniziarono la loro vita romana nella casina dei genitori di lui. I suoceri erano un po’ despoti ma la adoravano. In fondo la sposa era ancora una ragazzina di vent’anni. Lui lavorava al Ministero come radarista, lei faceva la maglierista. Un giorno lui tornò presto dal lavoro e trovò Pierina allisciata, un vestitino rosa, i capelli gonfi di parrucchiere, odorava di Cera di Cupra, i tacchi alti, la vide bellissima come non l’aveva mai vista, si innamorò una seconda volta, in silenzio: “Tonino, è nata Beatrice, la figlia dei vicini, stamattina è tornata a casa. Andiamo subito a farle visita, non vedo l’ora di vedere la bambina.”. Ma tra un bacio e una carezza Tonino dirottò la passeggiata in camera da letto.

Visitarono Beatrice il giorno seguente. Era bionda e ricciolina. La presero in braccio, dormiva e sorrideva. La mamma aprì il pacchetto, una campanellina d’argento che, dopo la carica manuale di una molla, suonava una dolce ninna nanna. Erano incantati da tanta dolcezza, il profumo del borotalco dava alla testa, mentre zinzinavano l’amaretto di Saronno gli sposi sentivano nascere dentro lo stesso desiderio. Tonino osservò Pierina: pensò che presto sarebbe stata madre: emanava grazia e pulsava di una luce nuova. Nove mesi dopo nacque la loro bambina.

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