Questo mese viene dedicato alla dragonessa Gertrud, a un gigantesco drago e a un mostro australiano. “Gertrud viveva su una montagna nel piccolo regno di Drahtigistan con il marito Gingantolos. Avevano salvato il regno da un diluvio con il loro respiro infuocato e perciò erano stati personalmente dal re a stabilirsi lì. Fu messa a loro disposizione come pascolo un’intera foresta, perché naturalmente erano vegetariani! Essi proteggevano il paese e vivevano in armonia fra loro e con gli uomini, finché un bel giorno il marito morì. Allora Gertrud, che stava invecchiando, non soltanto iniziò a perdere la vista ma divenne anche un pochino intrattabile. Per errore, essendo di malumore e anche un po’ cieca calpestò un paio di fattorie (ovviamente, senza uccidere nessuno) e qua e là bruciacchiò un po’ il terreno. Il re annunciò che avrebbe ricompensato chiunque fosse riuscito a far cambiare atteggiamento alla signora drago, e dopo un certo tira e molla finalmente si trovò un fabbro che prima di tutto le preparò un monocolo e in secondo luogo scoprì nella sua caverna un uovo di drago dimenticato. Fino ad allora non aveva mai potuto avere figli, perché il paese non era abbastanza caldo per far schiudere un uovo di drago. Perciò il fabbro si mise a sedere sulla sua groppa, e così volarono entrambi, insieme all’uovo, in un deserto, dove finalmente dall’uovo spuntò un grazioso piccolo di drago … Gertrud era di nuovo felice e tranquilla, il fabbro fu ricompensato e tutto andò bene”. La seconda storia racconta della “Notte dei tempi. In quella regione che oggi chiamiamo Rheinebene fluttuava un mare. Lì viveva un drago, un animale enorme, che era prigioniero perché tutto attorno si levavano alte montagne. Era così grande che la sua testa poggiava là dove oggi sono le montagne, e l’ultimo pezzo della sua coda finiva presso Basilea. Solo ogni mille anni il drago si voltava dall’altra parte. Allora l’acqua si rovesciava sulla terra passando sopra le montagne, come quando ci si immerge in una vasca. Per il resto del tempo era come morto”. Infine la terza storia narra che “Un giorno il figlio di un capotribù trovò in un fiume un bel piccolo di Bunyip e lo portò a casa in regalo. Il padre capì subito di che cosa si trattasse e per paura della vendetta della madre, volle riportare subito in acqua il piccolino. Ma ecco che si udì il ringhio del mostro arrabbiato, e tutto ciò che aveva gambe corse a perdifiato a rifugiarsi sulle montagne. Ma la madre del Bunyip era già sui fuggitivi, si riprese il piccolo e infine trasformò tutti, uno dopo l’altro, in uccelli. Così l’intera tribù venne trasformata in uno stormo di cigno neri”. Queste tre storie sono assai diverse l’una dall’altra, tutte sono accomunate dalla presenza di un drago, a volte buono, altre divino fino a rivelarsi vendicativo. Sono draghi ricchi di emozioni, territoriali e legati fortemente alla loro prole. La loro natura è vicina a quella dell’uomo più di quanto sembra poiché incarnano il sempiterno desiderio umano di raggiungere la loro statura spirituale, la loro essenza. Il comune denominatore più importante di queste tre storie è il fatto di presentare l’archetipo del drago con riverenziale rispetto perché il drago è ogni uomo, solitario con i suoi timori quotidiani diffusi nel lungo percorso chiamato vita e con la volontà di essere accettato, compreso.
La Comune umanità dei Draghi
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