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La Costellazione del Drago

by Cristina Villanova

Questo mese è dedicato alla Costellazione del Drago e il mio articolo è tratto dal libro di Giuseppe Maria Sesti “Le Dimore del Cielo”. Anticamente, quando furono create le costellazioni da astronomi a noi sconosciuti, la stella polare non era la nostra Polaris, nella coda dell’Orsa Minore, bensì la leggendaria Thuban, posta nel corpo di quell’immenso serpente di stelle che è il Drago, il sinuoso mostro del cielo posto esattamente nel perno di rivoluzione di tutta la volta celeste. Da allora, lentamente, per via della precessione degli equinozi, il polo si è spostato fino a raggiungere l’odierna Stella polare. La figura del Drago conteneva il Polo Nord, ma anche il polo dell’equatore e quello dell’ellittica, su cui erano disposti i dodici segni dello Zodiaco. Nelle pietre confinali mesopotamiche, vecchie di quattromila anni, scolpite con bassorilievi a soggetto storico ed astronomico, spesso ricorre fra i molti simboli stellari il Drago, che si snoda sulla parte alta della pietra: nella parte bassa c’è sempre il lungo serpente acquatico, l’Idra, mentre nel centro è situato il serpente piegato ad angolo retto che Ofioco regge fra le sue mani. I termini “Testa del Drago” e “Coda del Drago” sono stati presi come simboli astronomici dei nodi ascendenti e discendenti del percorso apparente del Sole, i punti, cioè, dove sembra che ascenda l’equatore, in primavera e ne discenda, in autunno. Allo stesso modo l’orbita della Luna interseca il moto apparente del Sole in due punti, i suoi due nodi; l’intervallo di tempo fra il passaggio attraverso uno di questi nodi ed il suo ritorno allo stesso è chiamato Mese del Drago o Draconico. Inoltre, un’eclissi di Sole o di Luna può solo avvenire quando questi due corpi si trovano vicino ad uno dei due nodi: la “Testa del Drago” o la “Coda del Drago”. Questa relazione viene espressa dal detto “il drago causa le eclissi”: infatti molti miti in tutto il mondo rappresentano le eclissi con un drago che divora il Sole o la Luna. La conoscenza delle figure draconiche o serpentine dava la chiave delle leggi del cielo stellato, che era rappresentato da un albero i cui frutti erano le stelle ed il tronco il loro asse di rotazione; naturalmente il sommo guardiano di questo “Albero della Scienza” era il Drago. Una sua qualità era l’instancabile vigilanza, la sua vista era eccezionale e non dormiva mai, caratteristiche, queste, che venivano attribuite agli astronomi; sembra che la radice di Drago venga dal greco derkein, vedere. I sumeri consideravano Drago il mostro femminile Tiamat, simbolo del caos primordiale, che fu sconfitta da Marduk in un epico duello alla fine del quale fu tagliata in due pezzi, una metà divenne la costellazione del Drago e l’altra, la costellazione dell’Idra. Il fatto che le stelle del Drago non solo non tramontavano mai, ma occupassero anche il trono centrale fra le costellazioni, faceva di questa creatura il vero simbolo dell’eternità, della consapevolezza e della vigilanza. Come guardiano dell’albero dei Pomi d’oro, cioè delle stelle, lo troviamo, col nome di Ladone, nel giardino delle Esperidi. E’ sempre un drago che sorvegliava, instancabile, nel giardino di Ares il Vello d’oro, méta ambita degli Argonauti partiti dalla Grecia per compiere un’impresa dal carattere profondamente astronomico. Il Vello d’oro, infatti, rappresentava il segno dell’Ariete ed in quel momento i Greci stavano compiendo la grande operazione astronomica dell’avvento dell’Ariete a scapito del Toro come segno di primavera. Cinquanta, fra dei, semidei ed eroi partirono in questo viaggio allegorico verso la Colchide, proprio vicino alle montagne del Caucaso, dove Prometeo era stato incatenato e da dove tanti miti e conoscenze erano giunti in Grecia. Giasone, il comandante solare della spedizione, riuscì nell’impresa di sconfiggere il drago solo con l’aiuto della maga Medea che, usando le antiche erbe delle pitonesse, fra cui il croco, che era nato dal sangue di Prometeo, addormentò il drago permettendo all’eroe greco di impossessarsi del Vello d’oro.

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