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Spreco alimentare: focus sui comportamenti

by Laura Guarnacci

Anche quest’anno torniamo a parlare di spreco alimentare, in occasione dell’8°giornata nazionale per la prevenzione dello spreco alimentare “Stop Food Waste, One Health One Planet”, tenutasi il 5 febbraio. Un problema da non prendere sotto gamba in quanto lo spreco alimentare domestico costituisce il 50% dello spreco di cibo sul pianeta. Cos’è cambiato nel nostro Paese? Secondo i dati contenuti nel report di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability (su rilevazione Ipsos), nel 2020 per effetto del lockdown lo spreco alimentare è diminuito del 12% rispetto al 2019. Ciò è dovuto ai cambiamenti negli stili di vita che hanno portato a una maggior consapevolezza degli italiani nei confronti del problema. Il 54% della popolazione italiana ha diminuito o annullato gli sprechi alimentari adottando diverse strategie: consumo degli avanzi, maggiore attenzione alla data di scadenza, spesa km0, riduzione delle quantità acquistate, dono in beneficienza dei prodotti alimentari non consumati.  Ma i dati sono ancora allarmanti in quanto 5,2 milioni di tonnellate di cibo finiscono nella spazzatura, tra le mura domestiche e lungo tutta la filiera. Stiamo parlando di 9,7 miliardi di euro: 6 miliardi e 403 milioni di spreco alimentare nelle case italiane e oltre 3,2 miliardi di perdite sui campi, nel commercio e nella distribuzione.  Non si tratta però di un problema solamente economico, ma anche etico. Secondo Coldiretti nel 2020 sono 4 milioni gli italiani che hanno chiesto aiuto per mangiare, il doppio rispetto all’anno precedente. E questo ha sensibilizzato molto l’opinione pubblica: l’85% degli italiani, infatti, chiede di rendere obbligatorie per legge le donazioni di cibo ritirato dalla vendita da parte di supermercati e aziende ad associazioni che si occupano di persone bisognose. Ma lo spreco alimentare ha anche un forte impatto ambientale: ogni tonnellata di cibo sprecato è responsabile di 4,5 tonnellate di CO2 rilasciate nell’ambiente e di un consumo di acqua pari a 170 miliardi di metri cubi. E ci sono poi i costi sociali e sanitari legati allo spreco. Tra questi si annoverano gli effetti avversi dovuti all’esposizione ai pesticidi (inutilmente utilizzati visto che poi il cibo viene sprecato), l’erosione dei terreni, la perdita di biodiversità e i conflitti sociali per le risorse naturali. Contemporaneamente, la richiesta di cibo continua a crescere e per il 2050 si stima un aumento della domanda di circa il 70%. La lotta allo spreco alimentare diventa quindi fondamentale per contribuire in maniera attiva alla salvaguardia del pianeta e alla sicurezza alimentare. E gli italiani lo stanno capendo in quanto il 66% ritengono ci sia una connessione precisa fra spreco alimentare, salute dell’ambiente e dell’uomo.

Quali sono le cause dello spreco alimentare? A differenza dei Paesi a basso reddito, dove la maggior parte degli sprechi si concentra nelle prime fasi della produzione (per via della mancanza di tecnologie e strumenti per una produzione e una conservazione efficiente dei prodotti alimentari), nei Paesi industrializzati lo spreco alimentare dipende soprattutto dalle abitudini dei consumatori.  Secondo l’indagine Ipsos, a casa accade soprattutto perché ci si dimentica di avere alimenti che si deteriorano a ridosso della scadenza (46%), perché si acquista frutta e verdura già sull’orlo della deperibilità (42%). Ma si ammette anche di comprare troppo (29%) e di aver calcolato male il cibo che serviva (28%). La frutta fresca si conferma uno dei cibi più sprecati (37%), seguita da verdura fresca (28,1%), cipolle, aglio e tuberi (5%), insalata (21%) e dal pane fresco (21%). C’è da dire che molto cibo si perde ancor prima di raggiungere il mercato perché non è conforme agli standard estetici imposti dai canali di distribuzione o perché subisce dei danni durante il tragitto tra il campo e la vendita o perché non viene conservato con cura. Un’assurdità che non può più essere accettata.

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