Totarella

by Lucia Fusco

Quando Totarella venne al mondo suo padre Simone non seppe di lei. La madre Flora scoprì di essere incinta solo quando lui era partito per il Brasile. Sposetti, analfabeti, si erano salutati alla Crocetta e si erano perduti. Non si scrissero mai, lui sparì, non se ne seppe niente e diversi anni dopo Flora scoprì della morte del marito: mentre andava nei campi di caffè, era morto dissanguato in un incidente prima che arrivassero i soccorsi. Flora crebbe la figlia nello scendì di famiglia. Totarella crebbe buona, bella e gentile, fece un matrimonio felice sposando Antonio, bello, lavoratore, onesto. Ebbero cinque figli, tre femmine e due maschi. Nel 1948, ai quarant’anni Antonio ebbe un’ulcera, fu operato a Roma e presto volle tornare a casa. I medici si raccomandarono di stare attento ai sobbalzi della corriera perché i punti interni erano ancora freschi. Purtroppo a casa cominciò a stare male e a perdere sangue dalla bocca. Totarella andò a piedi alle Colonne di Tito e chiamò l’ospedale. Il mattino dopo arrivò il medico su una Topolino ed effettuò una trasfusione. Avvisò Totarella che la cura sarebbe stata disperata, lunga e costosa. Lei chiese aiuto al compare Poldo che finanziò le cure. Totarella promise che avrebbe restituito i danari. Nonostante gli sforzi, Antonio spirò. Il compare non volle niente indietro, Totarella aveva i figli ancora piccoli… Il Sindaco le trovò lavoro: il cielo era ancora buio quando partiva da casa a piedi, e alla Fonte della Penna riempiva il concone, saliva sulle montagne intorno dove gli uomini lavoravano al rimboschimento. Un lavoro faticoso, senza sosta fino a notte, aggravato dal peso dell’acqua sulla testa. Le chiacchiere e le malignità su queste povere donne erano infinite, nonostante ciò Totarella affrontava con coraggio malelingue, fatica e dispiaceri. La sera a casa la vicina Filomena faceva trovare alle donne acquaiole in un bicchiere “la polvere” di tarlo, seccata al sole, pulita e pronta come borotalco perché non indossando pantaloni, col sudore e lo sfregamento delle carni gentili, erano piene di piaghe tra le gambe. Anche le scarpe non erano le più adatte e le poverine erano piene di vesciche e calli.  Intanto i tre figli più piccoli andavano a scuola, le due maggiori partivano con la madre e tornavano sempre col cavallo di San Francesco la sera. Andavano nei campi per 250 lire al giorno. Flora accudiva la casa e preparava il pasto serale per tutti.  Qualche anno dopo Totarella andò a servizio da una famiglia benestante di Nettuno per accudire un giovane disabile, sulla sedia a rotelle. Totarella divenne subito persona di famiglia, con la sua bravura, la dolcezza, il carattere forte e solare. Le insegnarono a leggere e a scrivere, le buone maniere, il bel vivere. La raggiunse la figlia minore per lavorare in cucina, in casa conobbe un giovane parente di Roma che, affatato dalla bellezza e dalla grazia della giovane, si innamorò, si dichiarò e si sposarono. Totarella divenne nonna felice e continuò a lavorare, serena, ben pagata, rispettata. Ma la felicità non esiste: aveva regalato la motocicletta a suo figlio minore, diciottenne. Sulla via Appia, insieme ad un amico, furono uccisi senza colpa in un incidente. La veloce berlina era guidata da un autista che conduceva una signora, moglie di un uomo importante. La morte fu risarcita con una cifra irrisoria, bastò per una tomba che affratellò per sempre i due giovani nel marmo. I genitori dell’altro ragazzo non si davano pace e chiesero a Totarella un risarcimento in denaro; disperata andò al Cimitero e cominciò a scavare per dividere un figlio dall’altro. Avvisati accorsero i genitori del giovane. La fermarono, compresero che il loro dolore era lo stesso, si abbracciarono e fecero pace. In quei giorni il Presidente della Repubblica Antonio Segni andò a trovare il ragazzo in carrozzella. Totarella, vestita di nero, si inginocchiò, baciò la mano del Presidente e lo pregò di farle conoscere la donna che aveva strappato la vita a suo figlio e all’altro angelo. Qualche tempo dopo mentre si trovava sulla spiaggia con il giovane malato, si avvicinò una bella signora che vendeva biancheria per la casa, Totarella avrebbe voluto acquistare qualcosa per le sue figliole ma il suo animo era ancora ferito e non riuscì a scegliere niente. La signora ascoltò il suo dolore e la sua storia, prima di andarsene le regalò un lenzuolo ricamato, promettendo di tornare. La sera Totarella ricevette una chiamata: “Totarella, sono la signora del lenzuolo. Le volevo dire che è a causa mia se il suo figliolo e l’amico sono in Cielo. Non ho avuto il coraggio di palesarmi, ho avuto paura della sua reazione, sono molto dispiaciuta e addolorata per quanto è successo e non doveva succedere. Le chiedo perdono con tutto il mio cuore, sono una madre anch’io, soffro con lei”. Piansero insieme e le dette il perdono al telefono. Totarella assistette fino all’ultimo il giovane in carrozzella, come fosse il figlio che aveva perduto, purtroppo un brutto male lo aggredì e morì. Ormai anziana tornò a casa, con Flora vecchierella, godette degli affetti. della casetta, del giardino, dei suoi gatti. Attiva, creativa, buona e intelligente, amata dal vicinato che la ricorda mentre si pettina i lunghi capelli brizzolati su una seggiola tra le rose leggendo le storie d’amore a lieto fine degli amati fotoromanzi, Bolero e Grand Hotel.

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