21 settembre 1981, Franco Battiato fa conoscere al mondo quello che diventerà il suo disco più famoso: La Voce del Padrone.
La voce del padrone rappresenta infatti l’apice della sua sperimentazione, iniziata nel ’72 con “Fetus”, il suo primo 33 giri, passando per “Pollution” fino a “L’Egitto prima delle sabbie”, album che pone fine ai lavori di radice elettro-sperimentale per sterzare sul pop con “L’era del cinghiale bianco”, “Patriots” e appunto “La voce del padrone”, il primo long playing più famoso e tra i migliori di sempre della musica italiana.
La sua particolarità principale è data dalla presenza di numerosi strumenti molto diversi fra loro: vibrafono, organo, archi e sintetizzatore sono solo alcuni mezzi che il nostro cantautore utilizza in modo orchestrale, creando così sonorità eleganti e raffinate capaci di mescolare punk-rock e new wave. Una commistione azzardata ma vincente che consente a Battiato, relegato fino a quel momento nell’underground, di accaparrarsi il titolo di re delle classifiche.
I brani sono appena sette, ma con una concentrazione talmente alta di idee e soluzioni musicali da lasciare stupefatti. Il leitmotiv dell’album è certamente la ritmica incalzante che sottende anche le parti più lente dei brani.
In “Summer On A Solitary Beach” la logica da brano malinconico è stravolta dalla presenza simbiotica di un sassofono filtrato e una splendida linea di basso.
“Gli Uccelli” è invece il pezzo dalle grandi aperture melodiche, dove riemerge una certa vena sinfonica subito soffocata a metà brano dall’incalzare di un drum’n’bass, tanto inevitabile quanto azzeccato, visto il contesto.
Un citazionismo portato spesso alle estreme conseguenze contraddistingue pezzi come “Cerco Un Centro Di Gravità Permanente”, in cui uno sfoggio di rimandi a immagini e filosofie orientali fa da contrappunto ad una scelta compositiva a dir poco easy listening.
“Bandiera Bianca” è un excursus su costumi e malcostumi della società moderna, un brano, neanche a dirlo, ancora attuale, dove la vena polemica dell’artista trova una delle sue espressioni più palesi.
“Cuccurucucu” e “Sentimento Nuevo” sono due strabilianti scherzi che Battiato riserva agli ascoltatori, il punto più “popolare” mai raggiunto dall’artista, che anche nell’occasione non rinuncia ad associazioni fra differenti elementi culturali: i profughi afghani e i pellerossa americani sono accostati con un’arguzia davvero notevole.
Merita infine una citazione il brano meno noto, “Segnali Di Vita”, un divertissement sulla vita e il cambiamento, che Battiato negli ultimi anni ha insistentemente proposto dal vivo per restituirgli tutta la sua dignità.
Ancora oggi è difficile comprendere come Battiato sia riuscito a passare dalle copertine con i feti alla rivoluzione musicale ante litteram, ma una cosa è certa: in un mondo confuso e megalomane in cui anche il più superficiale autore di canzonette assurge a titolo di “fenomeno senza eguali” o enfant prodige, il titolo di Maestro affibbiato a Battiato è certamente l’epiteto più azzeccato di sempre.