1949 – Quattro fichi secchi furono causa di un litigio familiare. Parole di offesa e rabbia, strilli, “nghiasteme” e pianti. Lauretta era una giovane sposa, un matrimonio d’amore e miseria, subito incinta, il mese seguente il marito Lidano fu richiamato sotto le armi. La gravidanza era cattiva, la sposa viveva a casa dei suoceri. Suo marito era il figlio maggiore e dopo di lui altri sei fratelli, tutti minorenni. Lauretta aiutava ma non mangiava niente perché aveva continue nausee, era debole e piangeva spesso. Anche la sua famiglia era povera ma i suoi genitori affrontavano la vita col sorriso e quando mancava il pane mettevano a turno i figli sul tavolo e poi insieme giravano intorno cantando stornelli buffi per spaventare la miseria. A casa dei suoceri c’era un’aria diversa, grave, triste e la mancanza di cibo era solo sofferenza. Il padre, di ritorno dalla Fiera di San Tommaso a Priverno, per festeggiare la nuova vita che la figlia portava in grembo e lo faceva nonno per la prima volta, le portò quattro fichi secchi. Lauretta avrebbe voluto dividerli con gli altri, ma c’erano sei bambini, i suoceri e il padre della suocera. Era stremata dalle continue nausee e se li rosicchiò tutti in una notte di languore, ciucciandosi le dita fino all’alba. La mattina la suocera la “nzurto’”: “Te pozzeno spaccà a ti e iessa mammeta, le gliuttunizzie te le si magnate tutte tu, e a figlimi n’ ci ni si lassate manco una!”, le scappò pure uno schiaffone per la rabbia. Lauretta fece fagotto e tornò a casa dei suoi genitori dove pensava di restare nell’attesa di Lidano, ma per le “chiaccare della gente” e per non rovinare i rapporti coi consuoceri, il padre la consegnò a casa della nonna dello sposo, un’anziana saggia e bonaria, dove la gravidanza proseguì bene. Tornò Lidano in licenza e affittarono una casetta poco lontano dalla nonna. Era di sassi ma vecchia e cadente. Con l’aiuto dell’anziana misero su una camera da letto, un focolare, un tavolo, due sedie, la cristalliera. Alla partenza del soldato arrivò una cuginetta di sette anni a tenere compagnia alla sposa. La prima notte senza Lidano sentirono un grattare lontano, debole. Come si tiravano su nel letto il rumore spariva. Poi ricominciava. Le due si strinsero pensando al “pantasima”. Dopo una notte insonne videro che nella brocca vuota aveva figliato una topolina. La bestiola era scappata, lasciando i figlioletti incapaci di uscire, intenerite decisero di non far loro del male e li deposero in un cespuglio a due passi dalla casa. Si volevano bene, insieme cantavano canzoni, raccoglievano legnetti per fare il fuoco, cercavano more, erba pazza e asparagi, facevano i compiti della piccola. Passarono le stagioni e una mattina a Lauretta si ruppero le acque. La bambina corse in un lampo dalla nonna. Purtroppo la creaturella nacque morta. Era una bimba, aveva il volto sereno. Pregarono tutte le preghiere che sapevano, la cuginetta la avvolse in un panno, la nonna preparò una cassuccia, chiedendo a una vicina di portarla al cimitero ai Zoccolanti perché loro erano stremate dagli avvenimenti. Passò un po’ e Lidano fu congedato. La nonna decise di regalargli un paio di stivaletti che un tedesco le aveva dato in cambio del lavaggio dei panni. La nonnetta aveva tenuto pulito e stirato l’ufficiale, e lui, prima di andarsene l’aveva così ricompensata. Anche gli altri figli e nipoti avrebbero voluto gli stivaletti ma lei volle darli a Lidano perché più bisognoso. La suocera stava sempre “stezzata” con Lauretta e non voleva vederla perché “zippella de ciocia”. Lidano lavorava a giornata ma alla fine del suo lavoro non otteneva che pochi “bocchi” per la sopravvivenza. Nacque una seconda bimba, Antonia. La nonna fece preparare una formetta di formaggio per festeggiare il battesimo della piccola ma Lauretta e Lidano, in una notte di freddo e fame la mangiarono tutta. La nonna li perdonò e chiese a un ricco benestante del paese, suo conoscente, di far lavorare Lidano nei suoi uliveti: era giovane, forte, istruito, sapeva le lettere e i numeri, e lo raccomandava lei in quanto a serietà e onestà. Cominciò a controllare gli operai, la raccolta, l’olio, il lavoro dal frantoio ai magazzini, giorno e notte. Quell’anno la raccolta fu straordinaria e Lidano guadagnò credito economico e stima. Grazie a questo risultato la nonna si pettinò bene, mise lo zinale più bello e si recò dal figlio e dalla nuora: se non avessero accolto Lidano, amato la bambina, perdonato Lauretta, non avrebbe più rivolto loro la parola e avrebbero perso per sempre la considerazione agli occhi della “gente”. Come Romolo con l’aratro aveva fatto al Palatino, la nonna con lo zinale misurò un pezzo di terra e proclamò che là doveva essere costruito lo scendì di Lauretta e Lidano. Tutta la famiglia andò “agli Zoccolanchi”, dal falegname, comprarono le tavole e le trasportarono sulla testa fino a casa, per via Roccagorga, poi lavorarono per giorni tutti insieme. “Rimpaciarono” e in quello scendì nacquero altri tre bambini. Nessuno soffrì più la fame.
Fichi amari
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