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Rinascita di Tomassino

by Lucia Fusco

Suso – settembre 1947

Pierina aveva cinque anni, andava solasolada Rosetta, da via Murolungo fino ai Colli, a piedi. Rosetta era l’innamorata dello zio Tomassino che, a giugno, era ritornato dopo sette anni di guerra e prigionia. Accolto come un miracolo, un dono di Dio dall’anziana madre che non si era stancata di pregare, dal mattino fino a sera, e da tutto il vicinato che lo credeva morto e sepolto. Rosetta abitava ai Colli, una bella ragazza mora, piccolina, laboriosa, viveva coi genitori e il fratello minore in una grande capanna al centro di un querceto dove grufolavano liberi i porcellitti. Anche Rosetta aveva pregato per il ritorno del soldato che mai aveva scritto a nessuno, questo aveva dato modo di pensare a cose brutte per cui ifamiliari cercavano di distrarla perché sposasse un altro uomo, ma la ragazza aspettava il ritorno di Tommasino. Faceva la sarta e aveva ottimi rapporti con i suoceri. Pierina andava da lei per farsi cucire i vestitini del suo bambolotto. La fidanzata l’accoglieva con gioia e quando se ne andava: “Fai attenzione, corri subito a casa, non ti fermare da nessuna parte.”

Ma poco lontano dalla capanna c’era uno scendì dove viveva una grande famiglia con tanti bambini, soli con la nonna, la quale, molto anziana, giocava sull’altalena, i nipotini la spingevano e lei rideva contenta; poi faceva le treccine alle piccole. Pierina si meravigliava perché a casa sua gli anziani che restavano a casa lavoravano nella stalla, nell’orto, in casa, magari, se era freddo o malati, stavano a letto e non giocavano. Pierina si fermava a osservarla, curiosa, l’anziana la salutava mentre la vedeva allontanarsi su per la salita. Al rientro a casa: “Nonna Filomè, di fronte alla capanna di Rosetta c’è una nonna che gioca all’altalena coi nipotini, ride e canta con loro…” Pierina, chella nonna ha stata ‘na brava femmina, ha cresciuto quattro figli maschi e mo’ tiene tanti niputi. Però, pora femmina i capo s’è ‘mbazzito e essa penza de esse’ ancora ‘namammoccia pure essa! Le nuore ce porteno a magna’ perché essa è come ‘na creatura.” “Poverina, me dispiace no’.”

Le preghiere erano state incessanti così il soldato era tornato a giugno, la famiglia e il vicinato l’avevano festeggiato. Magro, lungo, tutti i vestiti “civili” gli stavano piccoli e corti. Aveva le croste sulle braccia, sulle mani, sul viso, sul corpo, si lavava con la varechina per disinfettarsi. Era nervoso e stranito. I capricci dei bambini lo innervosivano. La famiglia aveva capito che stava davvero male, che necessitava di pace. Filomena chiamò Lorenzino il sartore perché gli cucisse tre “mute” di pelle di diavolo, una stoffa resistente, pesante perché si sentisse “cristiano”.

Rosetta aveva resistito sette anni alle lusinghe dei genitori perché accettasse un nuovo fidanzato. Forse Tomassino era morto, o aveva perso il senno, le dicevano, ma Rosetta non sentiva ragioni, pensava solo a lui. Due mesi dopo il suo ritorno, Tomassino non aveva ancora fatto visita alla fidanzata: “Ohi commare Filomena, figlietoha ritornato dalla guera. Perché non s’è fatto uiuo alla capanna, Rosetta lo aspetta come i uento all’ara. Semocontenchi, famo le parentezze. Guarda che aspettamo fino a sabato alle sei di sera, perché doppo è troppo tardi. Te lo so’ ditto perché figlimatene ‘no pretendente che sta alla Chieisa Nova che è giovane e benestante e la vole pe’ moglie. Se Tomassino nu’ vie’, i fidanzamento è scioto, ha finita, commà.”

Filomena e Tomassino si vestirono con cura quel pomeriggio di sabato. Lei preparò un manicuto pieno di uova e un fiasco di vino. Tomassino perse tempo perché, guardandosi allo specchio si vergognava della sua magrezza, le sofferenze lo avevano fatto diventare scheletrico, il viso segnato da rughe profonde, gli occhi tristi… temeva e bramava l’incontro con Rosetta che, la madre gli aveva detto, era sempre bella.

Si misero in cammino che erano le diciotto passate. Tomassino portava il manicuto della mamma al gomito del braccio sinistro e la sorreggeva con l’altro braccio durante la salita per i Colli perché l’anziana donna aveva difficoltà nel camminare. Filomena intanto pregava, come sempre. Arrivarono alla capanna che era l’imbrunire, illuminata, la porta accostata. Si sentivano voci. Accanto alla capanna c’era una vignarola con un cavallo baio che mangiava tranquillo il fieno.

La madre capì subito: “N’è gente nostra! IamucenneTomassì. Ha ariuato prima isso.” Il cane abbaiò e uscì la mamma di Rosetta: “Ohi Tomassì, si uenuto finalmente! So’ contenta che stai bbene. Mi dispiace tanto comare Filome’, te lo so’ ditto tanto bene ca tenevate tempo fino alle sei. Mo’ semo stretto le parentezze co’ no bravo giovine, Rosetta se sposa be’, me dispiace che non sei ariuato a tempo, Tomassì.” Le donne si asciugarono le lacrime cogli zinali, Tomassino non parlò, Rosetta si affacciò alla porta e sospirò, la madre tornò dentro e chiuse. Tornarono a casa che ormai era buio. Tomassino soffrì di questa delusione. Filomena non ebbe tempo di dispiacersi troppo perché si impegnò a trovare una nuova fidanzata. A Natale strinsero le parentezze con Nunziata, una ragazza di buona famiglia, molto bella, che gli avrebbe dato lunghi anni d’amore e quattro bei figli. Ma questa è un’altra storia.

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