Home RubricheRacconto Suor Celeste e le medaglie

Suor Celeste e le medaglie

by Lucia Fusco

Anni Settanta. Patrizia era in quarta e Carlo in seconda. Figli di piccoli commercianti, semplici, onesti e laboriosi. La bottega vendeva di tutto e non c’era molto tempo per la famiglia. Sposati giovanissimi stavano più tempo a bottega che a casa. Quei due bei figli li avevano generati nella pause tra pranzo e pomeriggio: giù la serranda si erano incontrati, la sera cadevano “morti”, il mattino si apriva alle sette e mezza, la domenica per le pulizie e i parenti. Erano contenti: Carlo era un bravo bambino, Patrizia, bella e intelligente, era il maschiaccio di casa, nel poco tempo libero giocava coi maschi al monumento, alle corse, a nascondino, mentre le compagne a mosca cieca o a campana sotto gli occhi delle madri, in mezzo ai vicoli: “Esso Marì, chessa è gl’omo de casa!” osservava il padre che avrebbe voluto Carlo più vivace e intraprendente. Avevano frequentato poco la scuola, facevano sacrifici, erano pieni di speranza per il futuro dei figli. Dal mattino presto fino a sera i due bambini frequentavano la “scola delle moniche” a pagamento.

Patrizia era la più brava della classe. La mamma le pettinava due lunghe trecce con bei fiocchi colorati. Il grembiule era immacolato e il grande fiocco le illuminava il visetto. I primi quattro anni di scuola elementare furono belli. Stava al primo banco come un gioiello, la bambina era seria e diligente, aiutava suor Celeste, i quaderni curati e ordinati. I dieci fioccavano e quasi tutte le settimane vinceva la medaglia, così un piccolo gruppo di bambini “bravissimi” e orgogliosi veniva portato nelle altre classi come buon esempio per gli altri. Carlo non era brillante come la sorella maggiore ma studiava con profitto. All’ora di pranzo la maggior parte dei bambini sciamava da scuola fino a casa, i due fratelli invece, insieme ai piccoli orfani, mangiavano nel refettorio insieme alle religiose. Facevano il segno della Croce e i compiti dalle 15 alle 16.30 con una suorina giovane, suor Anna, poi c’era la merenda: te’ con i biscotti, una fetta di pane con lo zucchero o olio e sale, oppure un frutto. La tv dei ragazzi e poi si giocava prima di cena. Alle nove e mezzo la mamma, dopo aver chiuso, pulito e organizzato il giorno dopo, li andava a prendere. Alle dieci erano già a letto, esausti. Si scambiavano un bacio e poche parole. Così dal lunedì al sabato. Anche la domenica mattina erano impegnati con le suorine. Patrizia adorava suor Celeste, si sbagliava e la chiamava mamma. Non perché Maria non fosse una brava madre, ma era assente e Patrizia adorava la maestra dolce e gentile che accompagnava i bei voti con una carezza.

La quinta fu un inferno. Carlo chiese di andare alle scuole pubbliche, insieme a un cuginetto e fu accontentato, Suor Celeste fu trasferita e subentrò Suor Adelina che dal primo giorno tolse il primo banco alla bambina: “Devi andare all’ultimo banco, qui non ti ci voglio.” “Suor Adelina ma io non ci vedo!” “Adesso tocca a un’altra, non è giusto che tu le abbia sempre vinte.” Ogni giorno la suora non mancava di rimproverarla: il fiocco aveva un colore diverso dall’altro, aveva alzato la mano per rispondere, non l’aveva alzata, le erano scesi i calzettoni o aveva fatto un orecchio al quaderno. Patrizia non prese più bei voti, la suora faceva dei segnacci sulla pagina con la penna rossa: riscrivi nel modo giusto trenta volte la parola sbagliata e altre dolcezze… La bambina diventò muta. Aveva paura a parlare e a stare zitta. Pure suor Anna era stata trasferita nelle cucine e non aiutava più i bambini che, lasciati soli, non studiavano. La sera la mamma era costretta a far fare i compiti a Patrizia e andavano a letto a mezzanotte. La mattina non ce la facevano ad alzarsi e la mamma pensava che fosse colpa sua, che era svogliata. Patrizia non si confidava con nessuno, temeva di essere maltrattata ancora di più dalla cattiva suora.

La pagella del primo trimestre fu uno shock. Abituata a tanti bei dieci, pure il voto di comportamento era pessimo! La picchiarono. Patrizia non scrisse più i compiti sul diario, non parlò più. I rimproveri si sprecavano. Una mattina Patrizia pianse disperata: “No, a scola n’ ci uoglio i’più. So’ perso Suor Celeste e le medaglie! Uoglio uenì alla bottega cu vu.” La mamma la tirava verso la scuola e la prese a sberle per la via, la bambina gridava e gemeva.

I nonni che passavano per la via accorsero: “Marì, ma perché stai a menà a sta mammoccia?”

“Essa ha diuentata pigra e non vole più i alla scola. I l’accido.” Il nonno: “Patrì, perché non voi più i alla scola, diccello!” Patrizia parlò, disse le cattiverie della suora che la trascinava per le orecchie “dinanzi a tucchi”, che la prendeva a schiaffi, che la faceva mettere in ginocchio, che non la faceva mangiare per castigo, che le strappava il foglio, che la “sdilleggiava dinanzi alle compagne.”

Patrizia non andò a scuola. Il giorno dopo il padre dalla Madre Superiora: “Ma nu pagamo! E pagamo bene! N’ ci sta più suor Celeste? ‘Sta monica nova fa suffrì figlima!” Il lunedì Patrizia era alla scuola pubblica dove ricominciò a studiare con gioia e serenità.

Related Articles