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Florin e le streghe

by Lucia Fusco

Tirana, 1970 – Adamata era sola dopo la morte dei genitori e la fuga dei fratelli in Canada. Il regime comunista stava loro stretto. Lei non li seguì, affezionata alla casetta e alle rose. Si innamorò del giardiniere della scuola, Florin. Si sorridevano, sempre tra i bambini. Diversi: lei bionda, delicata, un musino capriccioso, lui alto, moro, due baffoni sulla faccia tagliata con l’accetta. La mattina le porgeva rose e garofani. Sulla cattedra di Adamata il vasetto di vetro era sempre pieno di fiori. “Maestra, il giardiniere ti ama!” “Ma cosa dite, bambini, i fiori sono anche per voi!” “Bambini, ditelo voi alla maestra che la amo, perché lei sembra che non voglia capirlo!”

Le fece la corte, per entrambi era il primo amore. Si sposarono a giugno, lasciò l’insegnamento e lo seguì in montagna, a Theth, dove sua madre, Maria, vicino alle cascate, aveva un alberghetto. Lei amava il mare, ma salutò gli alunni, le amiche, la profumata spiaggia di Durazzo per lui.

L’albergo era malridotto. Sarebbero serviti lavori di muratura per attirare nuovi clienti ma Florin non era un uomo pratico. Si rimboccò le maniche e aiutò la suocera. Pochi clienti fissi permettevano la sopravvivenza. Adamata rimase incinta, lavorò fino all’ultimo. Per il parto il marito la accompagnò in ospedale. Il giorno dopo Adamata chiamò: “E’ nata una bella bambina di tre chili! Tra sei giorni potete venire a prenderci.”

All’uscita trovò la suocera che non la degnò di uno sguardo. Prese la bambina e le disse di portarsi la valigia. Salirono sull’autobus. Non scambiarono nessuna parola. A casa Florin piangeva e diversi amici, parenti e clienti dell’albergo lo consolavano: “Ti è capitata la disgrazia, pazienza. Il prossimo vedrai, sarà maschio.”  Qualche giorno dopo Florin le comunicò che la bambina era stata registrata col nome di Mirela. L’anno seguente Adamata partorì ancora. Questa volta tornò a casa da sola, nemmeno la suocera andò a prenderla. La neonata dormiva poco, scura, piccola, gli occhi neri. Solo due mesi dopo Florin la registrò, la chiamò Esmeralda, cioè mora. E poi nacque la terza bambina. Tornata dall’ospedale Adamata fece fatica a raggiungere la sua camera da letto. La casa era parata a lutto, le finestre chiuse, il fuoco spento. Gente dappertutto che si doleva con Florin: “Caro amico, caro fratello, questa grande disgrazia a te, tutte queste figlie femmine e nemmeno un maschio, in casa tua è sicuramente entrata una strega che ti ha gettato la maledizione!”

Adamata si ritirò con le tre bambine per un mese, usciva di notte per mangiare. Quando riprese a lavorare, la suocera e il marito non le parlavano. Visse in silenzio per lungo tempo. Dopo diversi mesi lui tornò a casa e le disse che all’anagrafe la bambina era Shtrige. Così aveva deciso e così era giusto. Non si toccarono per lunghi anni. Florin dormiva con la mamma e Adamata con le figlie.

Florin si riavvicinò ad Adamata molti anni dopo. Le portò dei fiori e un anello. Le chiese perdono, le disse che le voleva bene e aveva bisogno del maschio. Solo così avrebbero spezzato la maledizione della loro famiglia. Dieci mesi dopo nacque Mario. Finalmente ci fu festa, gioia, vino, cibo e balli. Ma Adamata era stremata. Esmeralda era in pericolo. Erano pronti a rapirla, per venderla a un ricco italiano e poi, quando si sarebbe saziato di lei, sarebbe finita sulle strade dove gli uomini amano accoppiarsi con le minorenni. Le mogli, per quieto vivere e per bene stare, chiudono gli occhi. Le ragazze che si rifiutavano finivano uccise. Fece le valigie con i figli e, salutata la suocera, passò l’Adriatico. Qui c’era una suora che conosceva da quando era bambina. Lavorava in una casa per anziani. Ebbero una stanza dove vivere, di giorno faceva la tuttofare: “Lavavo culi e pavimenti.” I figli impararono l’italiano, studiavano. Florin la seguì, non poteva vivere senza Mario, fece il lavapiatti nella stessa casa. Grazie a un avvocato e un bel po’ di soldi, Adamata riuscì a cambiare il nome della figlia, non più Strega ma Symira.

Due anni dopo Florin chiese un altro incarico: “Sono diplomato, posso fare di più, posso fare meglio.” Lo assunsero come giardiniere, lavorava bene e guadagnava meglio. Nel tempo libero lo chiamavano per curare orti, piccole vigne, giardini. Così per cinque anni, ebbero la cittadinanza italiana, parlavano italiano. Florin tornava in Albania per la madre, il suo albergo, le sue terre. Senza consigliarsi con nessuno, nel segreto, intestò i suoi averi al giovane genero, marito di Mirela, con la clausola che avrebbe ereditato solo alla morte sua, senza preoccuparsi degli altri figli, della discordia che avrebbe provocato con la sua ingiustizia. Senza nessun segnale di avvertimento, una sera fece la valigia, salutò e se ne andò: “In Albania sono padrone dell’albergo, qui sono servo.”

Nessuno lo seguì. Adamata lo accompagnò al porto. Lo pregò di non abbandonarla, i figli così giovani, Mario era un ragazzino. Avevano bisogno di lui. Promise ma non tornò più. La maledizione della strega non lo aveva abbandonato.

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