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La forza della vita

by Lucia Fusco

1945 – A passi lenti, pesanti, verso Sant’Andrea per raggiungere Roma in corriera. Nella capitale Maria sarebbe stata ospite da una parente alla quale aveva chiesto aiuto con una lettera sgrammaticata; mancava poco, una volta partorito avrebbe lasciato la creatura al brefotrofio. Maria aveva nella pancia delle bisce, il bambino non riposava mai, si agitava impedendole di distrarsi. Suo marito Giuseppe era in guerra da anni, rare le cartoline, le lettere: quasi analfabeti entrambi spesso chiedevano aiuto a terzi per scriversi poche frasi. La tragedia era accaduta nel giardino di casa, mentre raccoglieva un po’ di legna per se’ e per la vecchia madre quando un vicino, un uomo inabile alle armi, forte abbastanza da gettarla a terra, la aggredì all’improvviso, stracciandole le vesti e violentandola per brevi ma dolorosi secondi. Poi la minacciò di morte se avesse denunciato il fatto, di incendiare la sua casa. Rimase incinta. Non scrisse niente al marito, uscì solo quando necessario, altrimenti restava in casa a piangere di paura e di disgrazia insieme all’anziana mamma. Il vicinato sapeva, vedeva e taceva.

A Ferro di Cavallo i carabinieri la rimandarono indietro. Che tornasse a casa, dove andava con quella pancia gravida! Era uno scandalo: andare in giro a quel modo, senza un uomo, un padre, un bambino, con un cesto in testa! Maria provò a spiegare ma non poteva. Tornata a casa partorì due bambini minuscoli, maschio e femmina, li mise in un secchio pieno d’acqua e li riaffidò a Dio. Passò Filomena che sentì i gemiti e vide il pianto della vecchia madre sulla porta: “Che sta a succede commare ‘Ntona?”. “Zitta! Che disgrazzia alla casa me’. Vie’ adecco ca a cachetuno lo tengo da dice, me stongo a murì” .

Filomena aiutò Maria, dette acqua e zucchero alla vecchia, fece una buca in giardino e vi compose i poveri corpicini. Le donne erano distrutte: “Marì, s’ho capito c’ha fatto quiglio appullaro arisiato. Però i mammoccigli li poteui salua’, perché li si accisi?”. Maria e ‘Ntona non poterono rispondere per i singhiozzi. Filomena se ne andò piangendo anch’essa.

Qualche giorno dopo la buona comare vide arrivare da lontano Giuseppe, in divisa. Aveva avuto una licenza perché ferito: “Giuse’, Dio te benedice! Perché ‘n si ito subbito a caseta? Moglieta te sta a ‘spetta’”. Appena arrivato al paese un conoscente lo aveva avvisato che Maria aveva partorito ma i bambini non si vedevano e non si sentivano. Cos’era successo? Sconvolto era corso da comare Filomena prima di andare a casa per conoscere se erano “chiaccare” o se era vero. Lei gli spiegò. Voleva nascondergli l’assassinio dei bambini ma Giuseppe capì da solo: “Commare Filome’, ci sta ‘na viulenza, Maria nun te’ colpa, io quiglio l’accido, puro si è zoppo, scèmo o atro, ma essa non doueua accide le criature, pe’ fauore, uango alla capanna agli arbirito teo, a Ciriara stanotte, ca se uango mo’ addauero faccio core i sanguo”.

Filomena lo rifocillò, gli dette i panni del figlio, anch’esso in guerra, gli preparò un manicuto con un po’ di pane e un fiasco d’acqua: “Giuse’, reposate agli letto di figlimo, addomani uai a caseta”, “No, tengo da sta’ sulo”.

Dopo una notte di pianto e angoscia tornò a casa. “Marì, accome ha suceso?”. I due sposi si abbracciarono e piansero a lungo insieme. Maria era neccia neccia, ‘Ntona non ce la faceva a parlare, troppo il dolore che le mordeva il cuore. “Ecco, stao abbilati qua sotto, ce so’ piantato i gialsomino, pouere creature, le so’ affogate colle mani mee” la sventurata si torceva e si strappava i capelli. “Isso s’ha auicinato e i ‘n ci pensaua agli piricolo! Accome a na’ tigre me se uoleua magna’. Cetto che doloro che tengo, ohio nun passa mmai, poueri innucenchi”.

Giuseppe la tenne stretta a se’, la accarezzò, consolandola. “Marì, ti giuro ca quiglio gl’accido. ‘Sta maledetta guera ci ha toccachi a tucchi, i mi credeua ca era ‘n amico, ci so’ ditto prima ca parteua de protegge’ te e mammeta, ‘nuece è malamente”. Sospirò: “Marì, ti rimprouero solo, ma n’ ci sta bisogno perché già soffri pe’ casi te’, perché si acciso le creature? M’avrebbero uoluto beno accome a ‘no padre, m’avrebbero portato le ciavatte quando tornaua alla casa doppo gli lauoro, ci avrebbero aiutato alla uecchiaia.”. “Giuse’, ca Dio mi perdugni, stauo disperata, pagherò tutta la uita pe’ quegli innocenchi…”

Finì la guerra. Il vicino morì da solo, senza una parola di scusa ne’ di pentimento, il diavolo era andato a prenderselo, la sua casa andò in rovina. Anni duri li attesero. La vecchia madre li aiutava. I due sposi a lungo “si rispettarono”, stando accanto come fratelli, amandosi come due anime perfette in un purgatorio terreno. Poi la forza della vita li unì di nuovo in un incontro che si fece carne: nacque un figliolino, subito dopo una bambina. Ebbero la forza di essere felici di nuovo.

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