Agli Uffizi ai compagni sembrò che Carmela, adolescente in gita scolastica, fosse uscita dal quadro del Botticelli, una venere bionda. Una clessidra fatta carne. Bella, si bloccava il traffico quando passava sul lungomare. Una bellezza che toglieva il fiato. Eppure lei non si curava di nessuno. Appena diplomata maestra incontrò il principe azzurro nel baretto sotto casa. Mangiando il gelato seduti su un muretto ascoltarono Sapore di sale dal juke box tutta la sera, gentile e carino lui la corteggiò con discreta determinazione. Il primo colpo di fulmine dette a Carmela il primo rospo da ingoiare: lui era più basso di lei di venti centimetri. Divennero la favola del paese, camminavano con le dita intrecciate, innamorati, poi si scambiavano un bacio e lei doveva chinarsi. Si fermavano intere famiglie, gli autobus, le macchine. I genitori della giovane venusta non le impedivano di uscire ma le nascondevano i vestiti, le scarpe. Col vestito di casa e le pantofole passava il pomeriggio con lui ai giardinetti o sulla spiaggia. Provarono a spiegarle senza riuscire, la barriera generazionale negli anni sessanta era forte e i tabù vincevano ogni verità. Lui le faceva bellissimi regali, un anello antico come pegno d’amore, fiori, piccoli gioielli alle feste, vestiti e anche qualche soldino perché potesse andare dal parrucchiere, dall’estetista. La famiglia di lui era benestante, aveva diverse attività commerciali, lei invece era la primogenita di sei figli di un ferroviere. Due estati dopo si sposarono, nessuno della famiglia di Carmela partecipò alle nozze. La sposa fu accolta come una figlia e dopo un breve viaggio gli sposi si stabilirono in casa dei genitori di lui e le due cognatine, quasi coetanee. Carmela era la regina di casa, la sua bellezza faceva gioire tutta la famiglia che la curava, la coccolava, la vezzeggiava, la amava come un giocattolo prezioso. Ogni giorno per la giovane maestra c’era una sorpresa: un pranzetto speciale, un regalino, un invito al cinema o a fare shopping, insomma era la cocca di casa. I genitori e i fratelli di Carmela la salutavano di lontano quando la incrociavano per la via. Dopo qualche mese però la affrontarono chiedendole quando avrebbe avuto un figlio. Carmela si difese dicendo che sarebbe arrivato. Da allora i genitori presero a insultarla per la strada. La sposa usciva solo per andare al lavoro, faceva supplenze in tutta la provincia, per il resto passava il giorno in casa per timore di essere offesa. Il matrimonio di Carmela era bianco. Dormiva accanto a suo marito ma lui non le rivolgeva altro che qualche carezza e qualche bacio. Per il resto sembrava non essere interessato a lei ne’ al sesso. Se provava ad avvicinarsi lui si negava. Passarono tre anni bui. La cognata più giovane sposò un carabiniere e si trasferirono al nord. Dopo qualche mese restò incinta e telefonò la gioiosa notizia in famiglia. La suocera, che indovinava il segreto tra lei e il figlio, le era divenuta mamma a tutti gli effetti, la sosteneva, la adorava, le faceva coraggio, le era grata di accettare quella situazione in silenzio. Morì all’improvviso una notte, senza salutare nessuno. Carmela, pur continuando a lavorare a scuola, si prese cura della famiglia, cucinava, faceva le faccende, li teneva puliti. In casa c’era una buona disponibilità economica e si faceva aiutare di tanto in tanto nei lavori più pesanti. Anche l’altra cognata, che lavorava nell’azienda di famiglia, si sposò perché aspettava un bambino e andò ad abitare al piano di sotto. La mancanza di una sana vita matrimoniale, la solitudine, la guerra della famiglia d’origine e soprattutto il desiderio di maternità la spinsero a rivolgersi ad un medico. Per qualche tempo si confidò con lui, poi il dottore volle parlare col coniuge: “Carmela, tuo marito è un uomo gravemente malato ma io non posso fare nulla perché ti devo confessare di essermi innamorato di te e di non potere e non volere seguire questa storia. Mi dispiace, non posso aiutarti come medico. Soffro troppo come uomo”. Un’eclissi oscurò il cuore di Carmela. Spiegò al marito che non lo amava, che era finita. Fece la valigia e se ne andò in un paese vicino. Non volle vedere i genitori, i fratelli e le sorelle che le avevano chiuso la porta in faccia in quegli anni senza luce. Si dedicava ad insegnare ai piccini, le consolava il cuore. Non vedeva via d’uscita, pensava all’avvenente e intelligente medico come un albero pensa alla pioggia durante una stagione di siccità. Un giorno sentì per caso che il giovane dottore era ricoverato perché una malattia sconosciuta lo aveva colpito: non parlava, non mangiava, non aveva voglia di vivere. Corse in ospedale. Si avvicinò al letto dove lui giaceva, gli accarezzò le belle mani. Lui aprì gli occhi e la abbracciò stretta: “Carmela, sei mia, io ti amo come la luce, non ti lascerò andare via mai più. Noi siamo fatti per respirare uniti”. Piansero mentre si scambiavano i primi baci d’amore. Finalmente si senti nel posto giusto. Si sposarono, non mancò nessuno della famiglia di Carmela. Un anno dopo nacque Rosa, il più bel fiore della loro vita.
La venustà di Carmela
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