Home RubricheRacconto Non c’è salvezza…

Non c’è salvezza…

by Lucia Fusco

15 dicembre 1918 – Cesare, Granatiere di Sardegna, tornato dalle Alpi in licenza dalla Guerra, era morto di spagnola tra le braccia di Filomena, sua madre. Il soldato aveva salvato la famiglia dalla spagnola con del chinino: aveva funzionato. La morte rabbiosa l’aveva reclamato, il chinino era finito e lui era morto lasciando solo poche orme nella terra. Era la guerra più brutta mai combattuta, fu chiamata “Mondiale”, ma un nemico invisibile senza baionetta aggredì l’umanità; su “L’Avanti”: “la spagnola è il vero conquistatore dell’Europa”. Ignoranza, povertà e analfabetismo erano già malattie, la censura dava poche notizie, la gente si isolava. Senza cure e farmaci tutto il mondo azzardò aspirina, chinino, olio di ricino, preparati all’arsenico e salassi che facevano male anziché bene. Si stima morirono nel mondo tra i cinquanta e i cento milioni di persone tra il 1918 e il 1920. L’Associazione Memoria Storica attesta che Sezze perse 921 persone, quasi tutti giovani. La povera Filomena, stretta nel lutto pregava per il figlio che non sarebbe mai diventato vecchio, che non avrebbe mai più sorriso. Insieme a Cesare la Nera Signora le aveva strappato pure Angelo, il neonato, un dono di Dio a quarantacinque anni quando non pensava più di essere madre. Bella, i capelli neri, lunghi, gli occhi scuri due grosse mandorle, il fisico asciutto, dritto ma ferita dal dolore.  Il morbo della spagnola isolava la gente, senza cure, impossibile l’igiene, non c’era acqua nelle case, poco il cibo. Ogni famiglia stava nella capanna con l’obiettivo della sopravvivenza. Ci si parlava da lontano, tra le contrade si comunicava chiamandosi, come un telefono senza fili che portava le voci sempre più oltre. Era un appello per dirsi che si stava bene, si era vivi. Nel tempo le voci diminuivano ed affievolivano, la spagnola uccideva i giovani e le mamme erano abbattute dal dolore. Si delirava per la febbre altissima, si entrava nell’incoscienza, in tre giorni si decideva la vita o la morte, un decorso veloce e feroce. Filomena aveva usato le tavole del letto per fare la cassa al suo figlio soldato, dato fondo ai suoi risparmi per la tomba: lo presentò a Dio come “Prezioso Olocausto”, quasi tutti però finivano nella fossa comune. Il conflitto bellico aveva ridotto in miseria i poveri perché gli uomini erano in guerra, le donne facevano da sole con le loro povere forze. I Sacconi, uomini santi che in segretezza portavano sollievo, utilizzavano cappucci con un filtro a forma di becco per proteggersi dal contagio e andavano, dove chiamati, per portare via i corpi e seppellirli nelle fosse comuni. Si spostavano sulle strade suonando un campanaccio per allontanare la gente che si chiudeva nelle capanne perché il contagio uccideva.  Mancava poco a Natale, Filomena sentì quel suono di morte, le ruote di legno del carretto si lamentavano lente; da lontano, perché la sua casa era in alto, vide diversi corpi accatastati sul carro. Quando fu più vicino il suo cuore fu trafitto: in cima al povero mucchio riconobbe una ragazza che conosceva sin da bambina. Era quasi nuda, ogni vestito era prezioso per i vivi e a loro non serviva più, le braccia penzolavano fuori dal carro, aperte come Gesù in Croce, inerti. La sorella minore Angelica, dodicenne, era morta negli stessi giorni di Cesare. Un grande dolore la ferì, decise: entrò in casa, prese un lenzuolo di lino ricamato da lei stessa con le iniziali: F.C.  Raggiunse il carro. Il saccone smise di suonare quando si accorse di lei, le chiese se dovevano raccogliere un corpo. “Chella fuiglia alloco ‘ncima è Caterina, ha ita alla scola co’ bonanema figlimo, acciso dalla spagnola. Prima i s’ho dato agli Re, mo gl’ha uoluto Isso! Dio c’ha mannato ‘sta piaga ppe’ fa capisce agl’omeni ca semo cattiui, ca stamo a fa’ la guera e Isso no’ vole. Pure la sore di Caterina, Angelica, ha morta co’ figlimo, a ottobre. La spagnola sta a accide gl’innocenchi e nu duvemo solo piagne. Mo’ a chella casa c’ha rimasto bia no fuiglio zeco, Lidano, bono me’. N’è bene ca sta spugliata, chella giuvinotta ua mannata a Ddio co’ la Grazzia, no colla uergogna, puro ca semo miserabbili”. E ne coprì il povero corpo con il lenzuolo. Il Saccone le fece segno di stare zitta. Poi si fecero il segno della Croce e pregarono insieme l’Eterno Riposo. Filomena pregò tutta la vita per quella gioventù perduta. Il carro continuò la strada verso i Zoccolanti con il suo carico di dolore. 2021 – Il tempo passa ma le emozioni non cambiano, siamo vecchi dinosauri. Oggi come allora i morti subiscono l’offesa della fossa comune, sottratti alla pietà e all’amore della famiglia che non può accudirli in malattia ne’ accompagnarli e seppellirli, privati dei conforti religiosi, dei riti che danno consolazione a chi va e a chi resta. Viviamo la pandemia con angoscia e spavento, preghiamo per la salute e perché l’uomo si riconosca fratello nella Creazione di Dio e pratichi rispetto e compassione verso tutte le creature della Terra.

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