Tra i tanti sintomi associati alla Covid-19 si riscontrano la perdita dell’olfatto (anosmia) e del gusto (ageusia), disturbi inizialmente sottovalutati ma comuni a circa la metà dei malati.
Anosmia ed ageusia possono presentarsi insieme o isolati e in genere regrediscono dopo alcune settimane. Malgrado ciò, una parte cospicua di pazienti guariti dalla malattia, continua a manifestare questi sintomi per diversi mesi. In alcuni casi vi è addirittura la comparsa di sintomi ex novo: la parosmia, un’anomalia olfattiva che consiste nel percepire erroneamente gli odori e quindi avvertire come cattivi quelli che invece sono normali (cacosmia) e la disgeusia o percezione di gusti spiacevoli. I neurologi hanno segnalato diversi fenomeni: l’odore di alcuni dolci percepito come nauseabondo, il vino dal gusto di benzina, prodotti da bagno che causano vomito, difficoltà a gustare il cibo come si faceva prima e percezione distorta degli odori delle persone vicine, con conseguenze importanti nelle relazioni interpersonali e nella vita di coppia.
«L’olfatto – spiega Vincenzo Silani, professore ordinario di Neurologia all’Università di Milano, primario della Unità Operativa di Neurologia all’Istituto Auxologico Italiano e membro della Società Italiana di Neurologia (SIN) – funziona tramite terminazioni nervose che si portano dal naso al bulbo olfattorio per poi raggiungere la corteccia che identifica i normali odori. Nella parosmia o cacosmia lo stimolo viene percepito come anomalo e talvolta come fastidioso». Questi odori spiacevoli «non hanno nessuna corrispondenza nella realtà», ma partono da un’interpretazione erronea dell’afferenza sensoriale normale.
Il primo studio italiano sull’argomento ha esaminato la perdita di olfatto al tempo zero e successivamente dopo quattro mesi. La maggior parte dei pazienti esaminati «ha mostrato di riprendere l’olfatto -prosegue Silani- vi è però una percentuale che non lo ha ripreso completamente o la ha ripreso in forma anomala. Si tratta ora di comprenderne le ragioni». A questo si unisce una sottopopolazione di pazienti che riacquisisce l’olfatto, anche se non completamente, «ma dopo qualche tempo comincia a sviluppare cacosmia». La stessa considerazione può valere per la perdita del gusto.
Il paziente arriva quindi dal neurologo perché allarmato degli effetti che i disturbi stanno avendo sulla vita quotidiana, spesso riferiti come «una profonda perturbazione».
«La consapevolezza di questi disturbi – spiega l’esperto – è stata raggiunta a poco a poco perché in una prima fase ha predominato la necessità di salvare il paziente dalle espressioni più gravi del Covid-19, per cui questi sintomi sono spesso passati in seconda linea». Invece ora, «che molti pazienti hanno superato la fase più critica della malattia, l’attenzione si è spostata anche su questa sintomatologia che rappresenta un effetto a lungo termine particolarmente fastidioso».
Cosa fare con i pazienti che dopo mesi dalla malattia continuano ad avere alterazioni del gusto e dell’olfatto?
«Tutti i pazienti che abbiamo visitato con questi sintomi sono al momento sotto osservazione – conclude il prof. Silani – ma per ora vi è poco da consigliare da un punto di vista farmacologico: si può infatti mirare ad attutire farmacologicamente il sintomo, ma in termini terapeutici per ora non abbiamo che pochi suggerimenti per una cura risolutiva».
Unico presidio testato è la riabilitazione olfattoria, un vero e proprio training in cui l’esposizione ripetuta a stimoli odorosi molto intensi può aiutare l’epitelio a recuperare le sue funzioni.
Ma almeno per chi soffre di ipo/anosmia e ipo/ageusia, si potrebbe puntare su una caratteristica del cibo spesso sottovalutata: la texture. Cambiare la consistenza degli alimenti, creando contrasti e puntando su cibi croccanti potrebbe dare una maggiore soddisfazione a chi non può percepire gli altri aspetti sensoriali.
Visto il gran numero di persone coinvolte e le conseguenze psicologiche associate si auspica che si continui a fare ricerca sul tema per arrivare a un trattamento adeguato e risolutivo.